Conflitti sul lavoro: smettiamo di evitarli, impariamo a riconoscerli e a farne tesoro
Come trasformare uno scontro in un’occasione di dialogo, consapevolezza e crescita
1. Prima o poi succede a tutti
Un commento fuori posto durante una riunione.
Una decisione presa senza consultarti.
Un’interruzione mentre stai esprimendo un’opinione.
Sono situazioni comuni, spesso apparentemente innocue, ma capaci di innescare tensioni. Anche quando non esplodono in litigi evidenti, lasciano il segno: un clima più freddo, un certo distacco, una collaborazione che diventa meccanica. In poche parole: un conflitto.
Spesso facciamo finta di niente, ma quel “niente” può trasformarsi in un disagio crescente, che mina il benessere delle relazioni e l’efficacia del lavoro di squadra.
2. Perché i conflitti ci fanno paura
Fin da piccoli ci insegnano che lo scontro è qualcosa da evitare: rompe, ferisce, divide. Ma questa visione è solo parziale. Il conflitto è parte integrante delle relazioni umane — e nei luoghi di lavoro, dove ruoli, obiettivi e pressioni si intrecciano, è praticamente inevitabile.
La difficoltà sta nel fatto che un contrasto tocca corde profonde: il bisogno di sentirsi rispettati, ascoltati, riconosciuti. E se non abbiamo spazi sicuri per esprimerci, rischiamo di reagire in modo impulsivo o di chiuderci, rendendo il problema ancora più grande.
3. Il conflitto non è il nemico: è un segnale
E se invece di evitarlo, iniziassimo a leggerlo? Il conflitto può essere un campanello d’allarme utile, che ci indica che c’è qualcosa da chiarire, ridefinire, rinegoziare.
📌 Esistono diversi approcci alla gestione dei conflitti, come illustrato nel modello di Thomas-Kilmann, che identifica 5 stili:
- Competitivo (imporsi sull’altro),
- Accomodante (cedere per evitare lo scontro),
- Evitante (non affrontare il problema),
- Collaborativo (cercare soluzioni che soddisfino entrambi),
- Compromissorio (accettare reciproche concessioni).
Ogni stile ha il suo senso, a seconda del contesto. L’importante è conoscerlo, riconoscerlo in sé stessi e chiedersi: sto davvero scegliendo la strada più efficace?
4. Cosa accade dentro di noi
A livello psicologico, un conflitto attiva il nostro cervello più “primitivo”: il sistema limbico. Ci sentiamo minacciati, il corpo si irrigidisce, la mente si chiude. È il classico meccanismo di difesa. In questo stato:
- ci fissiamo su ciò che ci ha infastiditi,
- perdiamo empatia,
- semplifichiamo l’altro (“è sempre così”).
Il rischio? Entrare in una spirale dove il confronto diventa scontro, e lo scontro si trasforma in frattura.
5. Quali sono le cause più frequenti?
Dietro ogni conflitto ci sono spesso motivazioni profonde, che possono essere legate a fattori individuali o di contesto. Alcuni esempi comuni:
- Differenze caratteriali o di valori, che portano a visioni inconciliabili;
- Percezioni di disuguaglianza, dove c’è chi si sente superiore o escluso;
- Competizione per risorse scarse, come tempo, budget, visibilità;
- Comunicazione confusa o mancante, che genera malintesi e frustrazione.
Conoscere questi elementi è il primo passo per gestire — e prevenire — i conflitti in modo consapevole.
6. Conflitti costruttivi e distruttivi
Non tutti i conflitti sono negativi. Alcuni possono essere occasione di crescita, se gestiti con apertura e rispetto.
- Il conflitto costruttivo nasce in un clima dove tutti si sentono liberi di esprimersi. Le opinioni divergenti vengono ascoltate, le critiche restano sul piano delle idee, e si cerca un punto di incontro.
- Il conflitto distruttivo, invece, è dominato dalla voglia di prevalere. Si impongono le proprie opinioni, si attacca chi la pensa diversamente, e il risultato è un ambiente teso, dove le persone si chiudono per paura di essere giudicate.

 
					 
					 
					 
			 
		